È difficile rimanere oggettivi e imparziali quando ci si trova a parlare di un film che abbiamo amato moltissimo. Lo è ancora di più quando il film che abbiamo amato moltissimo porta la firma di un regista che da sempre amiamo altrettanto.
Ma torniamo lucidi e razionali, anche se sembra un ossimoro visto che Mia madre è un film d’amore e sull’amore e, si sa, quando c’è di mezzo lui lucidità e razionalità di solito si autobandiscono.
Scritto da Nanni Moretti, Gaia Manzini, Velia Santella e Chiara Valerio e sceneggiato , oltre che da Moretti e Santella, anche da Francesco Piccolo, vincitore nel 2014 del Premio Strega per Il desiderio di essere come tutti, la storia è quella di Margherita (interpretata da una così bella e ancora più brava Margherita Buy), una regista nevrotica – probabilmente anche per via delle sue vicende più intime e personali – e capricciosa – probabilmente per il fatto stesso di essere una regista – intenta a girare un film “politico” su una fabbrica in crisi e, allo stesso tempo, a fronteggiare la malattia, che sembra lasciare fin dall’inizio poche speranze, della madre (la meravigliosa Giulia Lazzarini, attrice teatrale qui splendidamente prestata al cinema).
Il tutto è accompagnato da un crisi personale (la fine di una relazione e, più in generale, il rapporto abbastanza conflittuale con se stessa), una figlia adolescente (adorabile, ma pur sempre adolescente) e un lavoro difficile, anche a causa del suo eccentrico interprete, l’attore americano Barry Huggins (un irresistibile John Turturro, in forma più che smagliante).
E Moretti? Che ruolo ha in Mia madre? Sulla carta e sullo schermo è il fratello maggiore di Margherita. Giovanni è un ingegnere, forse single, forse divorziato, bravo figlio e bravo fratello, affezionato, devoto e presente al punto da licenziarsi dall’azienda per la quale lavora per poter rispondere meglio alle esigenze della madre e a un malessere tutto suo, estremamente personale e interno. Nonostante la presentazione compiuta che è stata presentata, quello interpretato da (Gio)Nanni resta un personaggio intenso, ma secondario, almeno apparentemente. Apparentemente perché in realtà Moretti è l’assoluto protagonista.
Mia madre è un omaggio, anzi meglio, una dichiarazione d’amore alla signora Agata Apicella, madre del regista, venuta a mancare durante la lavorazione di Habemus Papam.
Ed è qui, da subito, che inizia una serie infinita di rimandi alla vita – vera – di Moretti perché questo è senza ombra di dubbio il suo film non più personale, perché personali lo sono tutti, ma il più autobiografico. Eppure la bravura di Nanni è proprio nell’essere stato discreto, molto misurato, nell’aver saputo fare un film su se stesso senza imporsi, in nessun modo, e dandosi, completamente, alla storia. Bravura e coraggio, oltre a una massiccia dose di umiltà. Ha scelto di farsi interpretare da Margherita Buy che, prima di essere un’attrice superba, evidentemente deve essere anche un’amica e una persona che gode della stima e della fiducia del suo regista. Per ammissione stessa dell’attrice, è stato divertente lavorare sull’alter ego di Moretti anche perché, essendo alla loro terza collaborazione (dopo Il Caimano e Habemus Papam), un po’ di comportamenti e atteggiamenti (lei li ha definiti “particolari”) non solo li ha solo conosciuti, ma li ha vissuti sulla propria pelle. Ma oltre la “vendetta”, la cosa più importante e delicata da maneggiare è stata, senza ombra di dubbio, la consapevolezza che le era stato consegnato qualcosa di molto personale, di molto doloroso.
È un film strano perché il tema della morte – e per forza di cose anche della sofferenza – getta la sua patina scura su Mia madre dall’inizio alla fine, eppure si ride, si ride tantissimo. Ma è un riso particolare perché proprio le scene “comiche” sono quelle che in realtà spingono maggiormente verso la riflessione. Dolore, malattia, morte sono tutti aspetti della nostra vita, ma accanto a questi ci sono anche e soprattutto l’amore, la forza di andare avanti, la felicità nelle piccole cose. Mia madre è un film che tocca nel profondo perché è vero, perché racconta la vita così com’è, vera.
Il tema del lutto era già stato trattato in quel capolavoro che è La stanza del figlio, ma, benché la sofferenza sia la stessa, è proprio l’idea della morte a essere profondamente diversa. Nel film premiato a Cannes nel 2001, la morte era imprevista, innaturale, crudele oltre che senza senso, qui invece diventa fisiologica, naturale, inevitabile, qualcosa verso il quale tutti immancabilmente tendiamo. C’è in Mia madre una vera e proprio elaborazione della perdita della persona amata. Un film che è catartico, per chi lo ha fatto e per chi, come noi, lo ha subito, anche se il regista non accetta proprio del tutto l’etichetta psicanalitica che viene spesso – e forse a ragione – applicata al suo cinema.
Il cast è fantastico. Oltre alla straordinaria prova d’attore di Margherita Buy e di Giulia Lazzarini, una menzione a parte merita l’americano ma perfetto italo-americano John Turturro. A lui spetta la parte brillante del film con un’interpretazione, in alcune scene in particolare, che rischia di diventare un cult.
Una piccola nota a piè di pagina va dedicata alla colonna sonora, bellissima e composta interamente di musiche non originali, cosa che sembra una novità, ma che non lo è visto che era già successo in Aprile e nel primo episodio di Caro Diario. Una scelta che non è stata proprio tale, più che altro è una cosa che è successa e che è sembrata quasi naturale. L’uso dei pezzi di Arvo Pärt era già stato deciso da Moretti all’inizio del montaggio, Baby’s coming back to me di Jarvis Cocker è stata invece suggerita da Valia Santella. Le altre canzoni (tra gli altri, di Leonard Cohen, Philip Glass e Ólafur Arnalds) sono state decise insieme al montatore e tutte, tutte sono assolutamente perfette, per il film e per le emozioni che ci regalano.
Mia madre, senza giri di parole, è un film bellissimo e completo, un’opera allo stesso tempo incisiva e delicata, ironica ed estremamente seria, divertente e commovente fino al pianto. Davvero accontenta tutti. Accontenta i critici, gli spettatori, i fan più sfegatati e i detrattori, perché li “redime”.
Grazie, Nanni, e ben tornato al cinema! Sappi però che gli anni che passano tra un tuo film e un altro per noi sono sempre troppi perché la tua è una mancanza importante. E in bocca al lupo per Cannes, che ti ama tanto quanto noi!