Tra i più grandi cineasti contemporanei c’è lui: Asghar Farhadi, hands down.
Dopo About Elly, Una separazione (premio Oscar al miglior film straniero 2012), Il passato, Il cliente – liberamente ispirato a Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller e secondo Oscar come miglior film straniero 2017– il regista iraniano torna con Todos lo saben (Everybody Knows), film di apertura della 71a edizione del Festival di Cannes e presentato anche al Toronto International Film Festival 2018.
L’aspettativa era alta, non lo nego. Farhadi non solo è un regista premio Oscar in grado di rispettare i limiti imposti dal regime iraniano senza sacrificare la propria creatività, ma è anche uno dei più interessanti custodi di quello storico movimento cinematografico tutto italiano conosciuto come ‘Neorealismo’.
Così, tra echi hitchcockiani e apologia dei moti dell’animo umano, viene presentata al pubblico la storia di Laura e la sua famiglia spagnola.
La bella Laura (Penelope Cruz) torna nel suo paese d’origine, vicino Madrid, insieme ai suoi due figli lasciando a casa, in Argentina, il marito (Ricardo Darin). Motivo del viaggio è il matrimonio della sorella minore.
Durante il banchetto nuziale, salta la corrente e la figlia sedicenne di Laura sparisce in circostanze misteriose. La madre disperata chiede subito aiuto al suo amico Paco (Javier Bardem), sua ex fiamma in gioventù. Inizia così una ricerca sfrenata che porterà alla scoperta di tremende verità.
I temi cari al regista ci sono tutti: relazioni umane, violenza, giustificazioni del nostro agire, empatia. Come sempre Farhadi demanda il punto di vista da adottare ai suoi spettatori, così da liberarsi della responsabilità di giudizio o, per fare il verso a Kant, del giudizio previo.
Ci sarebbero tutte le premesse per un ottimo film , all’altezza dei precedenti vista anche la presenza dei due attori protagonisti, coppia iberica per eccellenza.
Ma non è così, purtroppo. Everybody knows non è un brutto film, mettiamo subito le cose in chiaro. Non è neanche un film in potenza perché, in fondo, riesce a mettere il punto a questa piccola matrioska di pseudo-suspense. Perché pseudo? Il problema è proprio questo: la vicenda è chiara sin dall’inizio e gli attori restano una cornice durante la rappresentazione delle loro frustrazioni e nevrosi. Un vero peccato!
Quello che resta è una pellicola d’autore, sicuramente, che si pone su un livello diverso rispetto le opere degli esordi, forse perché svuotata dello storytelling brillante ed originale cui eravamo abituati.
Sarà perché ambientato fuori dal suo Iran? Lo sapremo solo con l’uscita del prossimo lavoro che aspettiamo con impazienza.