Ho letto del ritorno di Michael Moore da mesi, dalle testate internazionali che annunciavano la sua partecipazione al Festival di Toronto. La domanda sorge spontanea: è mai andato via?
La prima volta che vidi Michael Moore fu all’ingresso del Tiff Lightbox Bell di Toronto dopo la proiezione di Where to Invade Next, 2015. Lavoravo in biglietteria e sono riuscita a sorridergli senza morire dentro.
La prima volta che mi innamorai di questo regista, invece, fu il 2002 quando tra i banchi di scuola si proiettò Bowling to Columbine, pellicola che valse il Premio Oscar come Miglior documentario 2003 al cineasta di Flint. Rimasi profondamente colpita dai toni sardonici e scorrevoli con cui riusciva a vivisezionare i temi più controversi dell’assetto sociale americano ed internazionale.
Così, come una lunga e fedele storia d’amore, ieri è arrivato anche la prima volta in cui ho seguito una lectio magistralis dello stesso filmaker americano. Il tutto è avvenuto dopo la visione del nuovo film Fahrehneit 11/9, presentato a Roma in occasione della Festa del Cinema.
Dopo Fahrehneit 9/11 – Palma d’Oro Cannes 2004 – Moore si riafferma una delle voci essenziali per commentare lo scenario politico di oggi. Punto di partenza del nuovo lavoro è il 9 Novembre 2016, giorno in cui Donald Trump è stato eletto 45esimo Presidente degli Stati Uniti d’America.
Ci vuole un po’ per capire l’indignazione e la rabbia racchiuse in questo film celate nel black humour del regista che cerca di affrontare la discesa agli inferi della democrazia americana, per fare il verso a Tocqueville, ribadendo come questa sia da sempre la più alta aspirazione dei popoli.
Si muove così dalla candidatura – paradossalmente legata ad un compenso più alto della cantante Gwen Stefani per la partecipazione ad una trasmissione televisiva – e arriva alla rappresentazione dei paradossi presenti in varie realtà americane, dove il potere è detenuto da una cerchia ristretta di persone sempre più disattente ai problemi della comunità.
Il punto più alto si raggiunge con il focus sulla città di Flint, che oltre ad essere il paese natale del regista, è vittima di un disastro ambientale che ha causato malattie gravissime a TUTTI i bambini della città (novemila per l’esattezza) per via dell’avidità di politici ed amministratori.
Neanche la voce di Trump innestata sul filmato di Hitler che tiene un comizio, toglie speranza cui si affida la mente visionaria del cineasta americano. La speranza deve esistere e poggia sulle spalle di una giovane generazione impegnata che è consapevole di quanto sia faticoso e lungo il cammino per veder riconosciuto il proprio futuro ed, in primis, la sacralità di quel diritto costituzionale alla felicità.
Un nome su tutti è quello di Emma Gonzales che vi invito a cercare in rete così da smontare, una volta per tutte, i pregiudizi verso questi adolescenti superficialmente soprannominati ‘Millenials’.
Il film sarà distribuito nelle sale italiane da Lucky Red per soli tre giorni, dal 22 al 24 Ottobre, e vi invito fortemente a supportarlo per un duplice motivo. Il primo, semplicistico, perché il cinema ha bisogno di tutti, essendo DI TUTTI. E se è vero che altre forme di arte ed intrattenimento che possono distrarre e portare giovamento sono ormai esclusiva di pochi – si pensi al costo di un biglietto di un concerto o di una partita – il cinema no. Dieci euro sono ancora una cifra ragionevole per supportare chi mette a disposizione di una comunità la propria cultura e creatività, che per fortuna non ha valore di mercato.
Il secondo motivo per cui vi esorto a vederlo, lo ritrovate nelle parole di congedo dello stesso Moore durante il suo incontro con il pubblico romano, che spero scuotano le vostre coscienze così come hanno fatto con la mia.
“Quando sono venuto qui per la prima volta trent’anni fa ho mangiato un pomodoro di cui non dimenticherò mai il sapore, dopo essere cresciuto a hamburger e patatine, ed è un paradosso perché il pomodoro viene dagli Stati Uniti appartiene ai nativi americani ma sono dovuto venire in Italia per assaporarne il verso sapore. Quello che l’Italia può offrire al mondo è così tanto e profondo che io vi imploro: siate ancora l’Italia, ma non quella che dicono i politici “prima gli italiani”, quella che ho conosciuto. Abbiamo bisogno di voi, il mondo ha bisogno di voi“.