Quando Pulp Fiction uscì nelle sale cinematografiche furono avanzate numerose critiche per l’eccessiva violenza. ‘Significa che è un buon film’, commentò laconicamente il regista Quentin Tarantino, ‘c’è preoccupazione solo quando il film è ben fatto’.
Joker è un buon film, oltre ad essere il caso cinematografico del 2019, e l’ attenzione mediatica creatasi intorno ne è la dimostrazione. Il lungometraggio diretto da Todd Philipps, già presentato al Festival di Venezia dove ha vinto il Leone d’Oro, uscirà nelle sale italiane domani 3 Ottobre e in quelle americane il 4 Ottobre. Le grandi catene dell’ entertainment americano hanno già preso accordi con la polizia locale e i servizi di sicurezza, dopo la pubblicazione di post estremisti – o meglio, deliranti – riguardo al film. Così durante le proiezioni di Joker, non si potrà entrare in sala travestiti o con un trucco che renda irriconoscibile il volto.
La domanda che sorge spontanea è: perché un simile stato di allerta? Quanti film violenti sono stati proiettati fino ad oggi? Basta citare due capolavori, per esempio, Taxi Driver o Arancia Meccanica. Davvero la trasposizione cinematografica dell’iconico villain può generare una tale psicosi nazionale quanto capillare, strutturata sulla tragica vicenda di Aurora del 2012? O si esaspera per un intento promozionale?
Sì, Joker è un film violento non meno di altri. Il problema è che la follia, in questo film, è rappresentata nella sua componente umana, per fare il verso a Michel Foucault, ed è forse questo che genera un’eccessiva empatia verso lo stesso protagonista, disorientando lo spettatore fino al termine della proiezione.
Arthur Fleck (Joaquin Phoenix) è da sempre alla disperata ricerca di un contatto.
Mentre cammina per le strade di Gotham City, ostile e fredda, si amplifica quel senso di alienazione che lo affligge da una vita e lo costringe ad indossare una doppia maschera. Una se la dipinge per svolgere il suo lavoro come pagliaccio durante il giorno, l’altra è ormai parte del suo character. È quella che lo fa sentire, in qualche modo, parte del mondo circostante nonostante la completa incomprensione. Senza padre, Arthur ha solo una persona con cui si interfaccia realmente, la madre malata con cui convive.
Trascorrono lentamente le giornate ordinarie, ma aumentano gli episodi di violenza nei confronti di Arthur, portando il protagonista ad una totale dissociazione dalla realtà che lo getterà in una spirale di violenza senza ritorno.
Diretto, co-scritto e prodotto da Todd Philipps (produttore dell’acclamato A star is born) , Joker non è il classico racconto sul famoso antagonista di Batman, bensì è una visione originale di questo famigerato villain DC, una storia che si pone al di fuori delle classiche mitologie per analizzare la radice perversa dei mali e delle angosce .
Assistiamo impotenti alla narrazione claustrofobica di una vita spezzata ed in costante bilico tra apatia, crudeltà e tradimento, dove è impossibile intravedere uno spiraglio di salvezza, consapevoli sin dall’inizio del tragico destino a cui Arthur è condannato. E sembrerebbe proprio questo il nervo scoperto del pubblico, nonché il grande paradosso del lungometraggio: empatia. La storia di Arthur Fleck è avvolta da incomprensione, solitudine e disagio, che sfocia in un’inevitabile violenza schizofrenica. Nessuno sembra accorgersene o, meglio, può alterare gli schemi di una struttura sociale che esalta quell’Oltreuomo nietzschiano. Se ne accorge il pubblico, però. C’è un’intesa viscerale , senza filtro alcuno, verso Arthur, che spaventa e lascia turbati anche terminata la proiezione. È chiara ed evidente la natura dualistica dell’uomo: da un lato un insieme di forze e pulsioni elementari, dall’altro la corruzione di un individuo e la sua fuoriuscita delirante dal consesso umano ‘normale’.
Joker è un buon film, per tutti questi motivi, ma non azzarderei definirlo ‘capolavoro’. Poteva esserlo, certo, grazie alla performance del protagonista Joaquin Phoneix ( The master, Il Gladiatore, Walk the line) che fa rima con Oscar. Un grande contributo è quello apportato dal premio Oscar Robert De Niro, che sembra rivivere un periodo d’oro (l’attesissimo ed acclamato dalla critica The Irishman di Martin Scorsese ) attenuando così la profonda malinconia che ci affligge dai tempi della New Hollywood.
Dietro le quinte, Philipps è stato affiancato dal direttore della fotografia Lawrence Sher (Godzilla II, la trilogia Una notte da leoni), lo scenografo Mark Friedberg (Se la strada potesse parlare, Selma) ed il costumista premio Oscar Mark Bridges (Il filo nascosto, The artist). Infine, un prezioso contributo è sicuramente fornito dalla supervisione musicale di Randall Poster e George Drakouliase dal compositore islandese Hildur Ingveldardóttir Guðnadótti (Soldado, Chernobyl) .
Joker è un buon film, perché rimescola le carte della partita dicotomica – la vita – tra vinti e vincitori, affrontando lo stigma delle malattie mentali. Non ci sono eroi e cattivi, né –ismi da interpretare tra i titoli di coda ed il trucco colato. C’è solo la consapevolezza della storia di dolore ed alienazione che può celarsi dietro una risata assordante.
Da domani 3 Ottobre al cinema per Warner Bros Pictures.