Presentato in anteprima mondiale al New York Film Festival e, in Europa, al Roma Film Festival, The Irishman esce oggi 4 Novembre al cinema fino al 6 Novembre e su Netflix il 27 Novembre.
Di cosa parla The Irishman? Forse la domanda più appropriata sarebbe: di cosa parliamo quando parliamo di cinema? Esattamente di questa ultima opera di Martin Scorsese, la più intima e nostalgica, che va ad arricchire la sua già corposa inestimabile eredità.
Vita, amore, mafia, tradimenti, vendetta e morte. Si parla di questo, principalmente, intrecciando il tutto nelle maglie della storia del cinema, attraverso le interpretazioni di tre leggende viventi: Robert De Niro, Al Pacino – che temeva di non vivere abbastanza per vedere l’uscita del film – e Joe Pesci.
Basato su fatti reali narrati nell’omonimo libro di Charles Brandt (Fazi Editore), The Irishman è un racconto di vita attraverso gli occhi del veterano irlandese della Seconda Guerra Mondiale e sicario mafioso, Frank Sheeran ( Robert De Niro). Sono così analizzati i meccanismi interni e le rivalità delle forze di potere attraverso i rapporti di fiducia ed amicizia con Jimmy Hoffa (Al Pacino), leader del sindacato degli autotrasportatori, sparito misteriosamente nel 1975 e il cui corpo non è mai stato trovato, e quello con il boss Russel Buffalino (Joe Pesci) .
A questo punto, dovrei aggiungere la mia personale riflessione su un film ormai già cult e pietra miliare di un genere che ha segnato la storia del cinema americano e non solo. Per esempio, potrei menzionare che vengono trattati quarant’anni di storia americana o che la politica in questo lungometraggio ha un certo peso – si parla dei Kennedy, di Castro, della Baia dei Porci, di Nixon. O ancora, che il film è girato per il 70 per cento in digitale e per il 30 in 35mm, proprio a causa della sperimentazione digitale sul ringiovanimento ottenuta attraverso una macchina da presa speciale e digitale, appunto, che ha richiesto sei mesi di lavorazione post-produzione.
Potrei anche aggiungere che alla luce di questo capolavoro, si riesce a contestualizzare la polemica di Scorsese – e Coppola e di tutti gli altri a seguire – nata sui film Marvel. Si capirebbe, quindi, che il problema non sono i film sui super-eroi, anzi. Il problema è non diversificare più i generi, o, peggio ancora, far credere alle nuove generazioni che quello sia il cinema di oggi con protagonisti invincibili e privi delle contraddizioni, debolezze e dei paradossi umani.
Potrei anche dire che è forse questo, con alte probabilità, il motivo per cui anche una gloria, un intoccabile della Settima Arte come Scorsese, ha trovato difficoltà a realizzare questo film. Nessuno voleva rischiare su un ‘non prodotto‘ simile che rispecchia sempre meno le esigenze del mercato. Per fortuna, il regista è arrivato ad un accordo con Netflix che ha lasciato totale libertà nella produzione, finanziando ben 160 milioni di dollari.
Potrei continuare sull’importanza della musica, sulla fotografia patinata con scene che richiamano i quadri di Hopper, o, ancora, cacciare fuori la polemica sorta in conferenza stampa sulle figure femminili. Potrei, ma sarebbe un affronto verso il cinema e il pubblico. L’ Arte è arte, la si riconosce. Quando si osserva un Caravaggio, per esempio, si sa esattamente cosa stiamo osservando – o almeno si spera.
Mi limiterò così a dire che, da oggi, dividerò le persone in due categorie: quelli che andranno a vedere The Irishman al cinema e quelli che, ahimè , preferiranno lo streaming di Netflix.