ALABAMA MONROE: Storie d’amore, tatuaggi e bluegrass | Fabiola Palumbo

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di Fabiola Palumbo

Alabama Monroe – Una storia d’amore (The Broken Circle Breakdown) è stato il film che ha fatto tremare l’Italia nel periodo della febbre da Premi Oscar 2014, l’unico a rappresentare una reale minaccia alla corsa a briglia sciolta di Paolo Sorrentino e del suo La grande bellezza verso l’ambitissima statuetta. E, sinceramente, dopo averlo visto si capisce senza alcuna difficoltà il perché di tale giustificatissimo timore.

Si tratta del quarto lungometraggio del regista e sceneggiatore belga Felix Van Groeningen (classe 1977, inserito dalla prestigiosa rivista Variety nella lista dei “10 registi da tenere d’occhio”) e nasce dall’adattamento di un’opera teatrale di Johan Heldenbergh, attore protagonista (qui l’intervista ndr) – assieme all’intensa Veerle Baetens – della pellicola, con il quale Groeningen aveva già lavorato in due dei suoi film precedenti.

Dopo un iniziale tentennamento dovuto al fatto che il regista ritenesse impossibile combinare in maniera organica i tre temi fondanti di tutta l’opera (storia personale dei personaggi, musica e ragione vs religione) e dopo aver accantonato l’idea per sei mesi, il lavoro è stato poi ripreso e portato avanti in maniera intelligente e graduale, grazie anche all’aiuto del produttore Dirk Impens. Insieme hanno trovato la chiave di lettura adatta per poter raccontare una storia del genere, delicata e potentissima allo stesso tempo.

“Amore” è la prima parola che viene in mente quando si vuole raccontare un’opera come questa. Un amore da guardare da ogni prospettiva e da declinare in tutte le sue forme, in una sorta di crescendo d’intensità: passione, innamoramento, incertezza, consolidamento, solidità, paura, dolore e morte.

Didier (Johan Heldenbergh) e Elise (Veerle Baetens) si incontrano, si amano da subito e da subito si capisce che non potrebbero essere più diversi eppure così complementari e, insieme, perfetti. Elise è biondissima, bella, con un fascino un po’ da pin-up e gestisce uno studio di tatuaggi. Lei stessa ne sfoggia numerosissimi, dando origine a una vera e propria composizione che diventa un libro sul quale leggere la sua vita. Ogni disegno infatti dice qualcosa di lei, a suo avviso “c’è sempre qualcosa nella vita che vale la pena mettere sul proprio corpo”. I tatuaggi, bellissimi e mai volgari (disegnati da Emilie La Perla, una tatuatrice che vive a Bruxelles) si sposano a meraviglia con il corpo e l’anima delicati di lei. Avevano un “ruolo” marginale nella pièce teatrale, ma diventano un leitmotiv nell’adattamento cinematografico.

Didier è un tenero sognatore, innamorato dell’America, per lui terra di infinite possibilità, della musica e soprattutto del bluegrass, genere musicale nel quale si cimenta con passione e professionalità e che interpreta suonando il banjo in un gruppo musicale (strumento che Johan dimostra di saper padroneggiare a livelli professionali). È proprio questa musica a unirli: Elise entra come cantante nel gruppo di Didier e le loro esibizioni sono non solo irresistibili, ma addirittura indispensabili ai fini della storia tutta.

Il Bluegrass è il filo conduttore della storia in tutte le sue questioni chiave. La scelta del brano da cantare e da suonare non è mai casuale all’interno dell’intreccio, a volte ha una funzione solo narrativa e aiuta lo svolgimento del racconto, altre volte invece serve a caricare ancor più di pathos e di intensità le emozioni che i personaggi cercano (e ci riescono assolutamente) di trasmettere al pubblico.

L’acme di questa situazione idilliaca si raggiunge con l’arrivo, inaspettato, di Maybelle (interpretata da Nell Cattrysse), la loro stupenda e dolcissima bambina. Il loro cerchio della felicità, quello del titolo originale, è perfetto, saldo e completo, ma si spezza drammaticamente (e lo spettatore teme anche irreversibilemente) quando, all’età di sei anni, la piccola si ammala gravemente. Quello che segue è il diverso modo dei due protagonisti di reagire al dolore. C’è chi, pur devastato e distutto, cerca di andare avanti e c’è chi invece non accetta in alcun modo la tragicità dell’evento. È in questo momento che vengono fuori tutte le differenze e le divergenze della coppia, le stesse differenze che prima erano motivo di bellezza e arricchimento, mentre ora portano solo soffenza e l’incapacità di comprendersi reciprocamente. Lo spettatore, grazie al sapiente uso dei continui flashback, assiste così allo svolgimento della storia d’amore di Elise e Didier, dall’inizio alla fine, chiedendosi fino all’ultimo secondo del film se l’amore tra i due potrà essere più forte del destino e delle avversità. Il tutto culmina in un finale che non avrebbe potuto essere pensato in maniera migliore di come è stato scritto e girato. Pur presagendolo, per lo spettatore arriva un gran pugno nello stomaco, uno strattone all’anima.

Una coppia di attori estremamente motivati che insieme funziona davvero benissimo, dotati di un’intensità che buca lo schermo e capaci di muoversi con delicatezza e vigore su un palcoscenico fatto di dolcezza, di speranza e infine di rabbia per il destino ingiusto che hanno conosciuto.

Un film commovente, ma mai patetico. Tirando le somme: un cast perfetto che anima una sceneggiatura perfetta che si realizza in un film perfetto, accompagnato da una fotografia, un montaggio e una colonna sonora altrettanto perfetti.