di Fabiola Palumbo
A distanza – e davvero non ci si crede sia passato così tanto tempo – di quasi 80 anni Dumbo, l’elefantino più tenero e famoso dell’immaginario collettivo, vola di nuovo al cinema.
A fornirgli la sua celeberrima piuma per aiutarlo nel decollo è Tim Burton, che realizza un live action formato famiglia che prende l’avvio dalla sceneggiatura di Ehren Kruger e maneggia, ma neanche troppo, uno dei Classici Disney per eccellenza.
Burton, così come tutto il progetto, chiaramente non ha bisogno di presentazioni. Regista prolifico e di successo (tra l’altro in questi giorni è Roma per ritirare il David di Donatello alla carriera), con i suoi ultimissimi lavori, diciamo da Alice in Wonderland fino ad arrivare a Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali, non ha incontrato il plauso della critica, pur rimanendo sempre riconoscibilissimo nel suo stile ed estremamente originale, ed è possibile che non succeda neanche questa volta.
Tuttavia un merito che va sicuramente conferito a Burton è quello di non aver fatto una copia conforme del film d’animazione del ’41, ma di averlo rimaneggiato, non stravolto, con nuovi spunti narrativi e tutta una serie di personaggi che danno vita a un cast di altissimo livello, con alcuni volti eccellenti che si affacciano per la prima volta nella filmografia burtoniana (vedi Colin Farrell), alcune conferme (la sempre meravigliosa Eva Green, Danny DeVito e l’affascinante villan Michael Keaton) e graditi ritorni (Alan Arkin).
1919. Poco dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, il circo dei Fratelli Medici è in crisi, così come lo sono gli artisti che lo popolano. Holt Farrier (Colin Farrell), punta di diamante dello spettacolo circense, è tornato dal conflitto senza un braccio ed è rimasto vedovo della sua compagna di vita e di scena, con due dolci figli da crescere. Max (Danny DeVito), l’unico dei Fratelli Medici (perché ne esiste solo uno), vuole assolutamente rilanciare l’attività e punta tutto sull’acquisto di un’anziana elefantessa incinta. I suoi piani vengono scombinati dalla nascita di un elefantino dagli occhi che parlano, dolcissimi e tristi, ma soprattutto dalle orecchie enormi che non riscuote il successo sperato, diventando anzi oggetto di scherno e di cattiverie gratuite. La situazione cambia grazie ai giovanissimi Milly e Joe, i figli di Farrier, che casualmente scopriranno la straordinaria capacità del tenero elefantino di volare e lo incoraggeranno con quella sensibilità che solo i bambini possono conoscere. La notizia non tarda a diffondersi, fino ad arrivare – restando in tema – alle orecchie del perfido V. A. Vandevere (Michael Keaton), che lo porta Dreamland, il suo parco (destinato a stupire in negativo) dei divertimenti, con l’intento di farlo esibire insieme a Colette Marchant (Eva Green), sua amante, poi pentita, e trapezista, strappandolo però all’amatissima madre.
A conti fatti, il Dumbo di Tim non è il film più indimenticabile che sia mai stato fatto. La sceneggiatura ha un retrogusto che sa di già visto e sentito, probabilmente è persino banale in alcuni punti e prevedibile, ma forse l’intento del regista non era quello di essere indimenticabile. Burton voleva più che altro raccontare, riproponendola, una storia che era un po’ dark già dal primo progetto, ma che comunque è dolce, tenera e intensa. Il messaggio è palese, non ha bisogno di essere spiegato: bisogna fare della propria legittima stranezza il proprio punto di forza. Niente di originale, per carità, ma ci sono casi come questo in cui è sempre bene ripetersi.
E poi bisogna ammetterlo: a Tim e a Dumbo si vuole sempre bene, a prescindere da tutto.
Distribuito da Walt Disney Picture, Dumbo uscirà nelle sale italiane a partire dal 28 marzo.