Edoardo Ponti: quando la realtà supera l’immaginario

Voce Umana è l’ultima opera di Edoardo Ponti, presentata alla 67a edizione del Festival di Cannes e acclamata da tutti: giornalisti, critici, pubblico. Ho avuto l’onore di assistere all’anteprima tenutasi a Roma lo scorso 9 giugno, grazie l’invito del produttore Massimiliano Di Lodovico, e in quell’occasione sono riuscita ad accordare l’intervista proprio con il regista. Purtroppo da lì a pochi giorni sarebbe tornato a Los Angeles dalla sua famiglia, ma si è mostrato comunque disponibile per realizzarla su skype.

10E’ stata una piacevole conversazione dove abbiamo brevemente ripercorso le tappe più importanti della sua formazione, gli ultimi lavori e i progetti futuri. Ma dove anche è emerso uno spaccato di vita che va oltre l’immaginario comune. Una vita appartata e concentrata su studio, lavoro e affetti, e che poco aveva a che fare con la mondanità.

Hai avuto un brillante curriculum universitario. Una laurea in Letteratura Inglese e scrittura creativa all’ University of Southern California, un master in regia e produzione cinematografica alla USC School of Cinema and Television, e un vero e proprio tirocinio formativo con Michelangelo Antonioni come suo assistente personale. Di questi tre momenti, quale ha inciso maggiormente sulla tua professione di regista?

La vita è un mosaico di esperienze, per questo non riesco ad individuare quella più importante. Credo che tutte mi abbiano insegnato diversi aspetti del mio lavoro, in un certo senso. Sicuramente la scuola di cinema è stata molto importante, non tanto per quello che mi hanno insegnato i professori, quanto per il confronto con i colleghi e con il loro modo di affrontare idee, storie e tutta la parte creativa.

Ma la scuola è stata importante anche per gli errori commessi, perché ovviamente si impara soprattutto dai propri errori e dal modo in cui ci accingiamo a risolvere questi problemi di natura narrativa e cinematografica.

Non c’è dubbio che la mia collaborazione con Antonioni (durante la preparazione di un film a Los Angeles che non si è più fatto) è stata un’esperienza indimenticabile. Lo è stata perché lui ha sempre conservato, fino alla sua morte, una grande curiosità per la gente ed è stato questo il suo più grande insegnamento. Lui guardava le persone come se avesse sedici anni e con un tale desiderio di comprendere tutti, di voler scambiare con loro emozioni, idee. Antonioni voleva sempre vivere tutto intensamente. Ricordo, per esempio, che quando eravamo a LA voleva uscire tutte le sere. Voleva sempre fare qualcosa: andare in un nuovo ristorante, visitare un museo, e tutto questo mentre preparavamo un film. Dunque, faceva tutto con un’energia assolutamente incredibile.

Non voglio creare alcun dualismo ma mi piacerebbe sapere, proprio a seguito della tua formazione, quanto porti con te della cultura cinematografica statunitense e quanto di quella europea.

La mia anima e il mio cuore appartengono al cinema europeo, su questo non c’è alcun dubbio. La mia mentalità di produzione, invece, è americana: dall’organizzazione della produzione stessa alle giornate di lavoro sul set, per esempio. Penso che questo dipenda dal fatto che mi sono formato qui.

Non ti chiedo commenti sul cinema italiano del passato perché sarebbe davvero una domanda troppo scontata, però mi piacerebbe sapere che cosa pensi del cinema italiano di oggi e in che direzione secondo te si deve muovere o si sta muovendo per ritornare ai fasti del passato.

Io credo che sia molto importante toglierci il “complesso” del Grande Cinema degli anni 40, 50, 60 e 70. Dobbiamo trovare un modo nostro di fare Cinema e non fissare una gloria passata. Solo così abbiamo la speranza di creare Grandi Film. Credo che con i registi di oggi di tante generazioni diverse come Bellocchio, Sorrentino, Garrone… si possa realizzare questo. La cosa importante è sempre credere nella storia che si sta realizzando, perché solo in quel modo potrà diventare una storia universale. Dico “potrà” perché non ci sono garanzie in questo lavoro, ma facendo così possiamo aumentare le probabilità di riuscire nel nostro intento.

Ho letto che i tuoi genitori sono stati dei grandi collezionisti d’Arte. Hai ereditato anche tu questa passione?

Ho sviluppato la passione verso l’Arte perché mi piaceva conoscere la storia che c’era dietro i dipinti: le cause e le conseguenze di quella creazione. Ricordo che mi divertivo molto anche ad immaginare queste storie, e forse è stato un esercizio utile per sviluppare il mio lato creativo.

Spesso dichiari che il film ha come obiettivo quello di intrattenere. Quali sono i criteri con cui scegli un film? E’ vero che prediligi gli adattamenti di opere letterarie?

Il film deve assolutamente intrattenere, ma non è solo quello il suo obiettivo. Il film deve anche ispirare un certo pensiero. Intrattenere e far pensare.

La scelta degli adattamenti letterari è un caso, perché sono aperto a tutto. Certo lavorare con opere letterarie è una scelta di per sé bella, perché sono le opere stesse ad esserlo. Quando lavori con opere simili, parti da un materiale che è già qualitativamente elevato e che implica indirettamente una maggiore responsabilità e un maggiore rischio nella riuscita del film. E’ come quando giochi a tennis con una persona più brava di te: lui gioca bene e ti sprona a fare lo stesso durante la tua prestazione. Per me accade proprio questo quando lavoro su un testo di un grande scrittore: la qualità del mio lavoro aumenta grazie al livello di eccellenza della materia iniziale.

Proprio a fronte di questa apertura di cui parlavi, dirigeresti anche una serie tv americana?

Dipende, dipende da diversi fattori. Sicuramente una condizione per farlo sarebbe dirigere la puntata pilota, perché il pilota dà lo stampo visivo, atmosferico e tonale di tutta la serie. In quel caso sì, assolutamente. Dirigere un episodio così en passant, non mi interesserebbe.

Voce Umana, il tuo ultimo lavoro presentato a Cannes. Hai dichiarato che è nato dalla passione che tu e tua madre nutrivate per il testo di Cocteau e dalla volontà di fare un adattamento cinematografico dello stesso (che come hai giustamente precisato durante l’anteprima di Roma, non può essere paragonato con l’opera di Rossellini che fece, invece, la trasposizione della pieces teatrale). 6 settimane di prove, 11 giorni di lavoro, il coinvolgimento dei migliori professionisti del settore (penso a tua madre Sophia, a Erri de Luca per la traduzione napoletana, a Rodrigo Prieto, direttore della fotografia di Babel e The wolf of wall street, per citarne alcuni) hanno portato a tanti riconoscimenti e all’unanimità dei consensi. Io l’ho visto come una grande dedica d’amore a tua madre. Quindi ti chiedo: cosa significa questo film per te?

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Come puoi immaginare, è stata un’ esperienza forte ed emozionante. Realizzerò solo tra 10-15 o forse addirittura 20 anni, l’ impatto totale che ha avuto su di me come essere umano, come figlio e come padre.

Voce Umana è sicuramente un film nato dalla totale sintonia che c’è stata tra me e mia madre. Lei ha avuto sicuramente un grande coraggio nel rimettersi in gioco ed è riuscita in questa nuova sfida che non ci sono altre parole da aggiungere.

E’ sicuramente un’esperienza che auguro di fare ad ogni regista, ma anche ad ogni figlio o figlia. Auguro di poter trovare il modo per condividere un momento così con suo padre o madre.

Una delle tue massime che preferisco è: “Il film non cambia mai, il pubblico con cui lo vedi cambia e fa in modo che cambi la percezione di quel film”. Quando e come l’hai compreso ?

(ride) L’ho compreso durante le proiezioni dei miei film, perché ho scoperto che mi sembrava di vedere sempre qualcosa di diverso.

L’ho capito dal primo fotogramma girato, che aveva un aspetto diverso quando lo montavo, che ne aveva un altro ancora quando lo mostravo le prime volte agli amici, fino a cambiare nuovamente durante le tante proiezioni.

Questa è la Bellezza del Cinema: veder cambiare qualcosa che credevi immutabile.

Un film che avresti voluto dirigere (anche del passato) ?

Fammi pensare… c’è un film di adesso che avrei voluto dirigere ma non sarò io a farlo.

E qual è ?

(ride) Non ti posso dire nulla. E’ una storia di cui volevo comprare i diritti, ma un grande, grande, grande regista li ha presi prima di me. Gli auguro tutto il bene, perché sono sicuro ne farà un bellissimo film.

Hai ancora l’abitudine di pranzare da solo?

Sì, sempre. Pranzo sempre da solo perché penso, rifletto, leggo e osservo. Alcune persone hanno il complesso di pranzare da soli mentre per me è una meditazione, perché durante la mattina scrivo e solitamente quando si scrive emergono tantissimi problemi legati agli ostacoli narrativi o a varie incongruenze. Il pranzo è proprio il momento meditativo per risolvere tutti questi problemi.

Un’altra cosa che ha un carattere risolutivo simile è correre. Adesso corro un po’ meno, ma fino a un mese fa percorrevo dieci chilometri tre volte la settimana. Correre è davvero il modo più efficace per risolvere i problemi creativi.

Quali saranno i lavori futuri di Edoardo Ponti?

Ce ne sono tre: un progetto italiano, un progetto francese e uno americano. Adesso devo scegliere quale andrà in porto più rapidamente.

Voglio provare a coniugare la mia carriera in quei tre mercati, perché sono le tre culture che porto dentro. La mia nazionalità è italiana, ma sono anche cresciuto tra Francia e Svizzera per poi formarmi in America. Nei miei progetti futuri c’è questo: la possibilità e la volontà di raccontare storie in tre lingue attraverso una narrazione intima.

(Intervista pubblicata per thefreak.it il 7.07.2014)