JURASSIC WORLD

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Anni Novanta non vi abbiamo dimenticato e non lo faremo mai.

Anni Novanta come dire Polly Pocket, film di Robin Williams, Game Boy, Fievel e Brisby, Barbie, Cioè, Festivalbar ma anche dinosauri. Come potremmo dimenticare Jurassic Park  e Alla ricerca della Valle incantata di Don Bluth, non a caso prodotto da quei geni di Steven Spielberg e George Lucas?

Ecco. Siamo fatti della stessa sostanza degli anni Novanta, motivo per cui sarà estremamente difficile parlarvi di Jurassic World, quarto capitolo della serie cinematografica di Jurassic Park diretto da Colin Trevorrow ed ispirato all’omonimo romanzo di Michael Crichton.

La difficoltà è nel coinvolgimento emotivo: essere cresciuti con il cult firmato Spielberg – poi rimanere delusi da Il mondo perduto e Jurassic Park III – ci ha indeboliti e resi di parte. Come possiamo dimenticare l’inquietudine provata per i rettili giganti, elemento tipico dei racconti spielberghiani? E’ inevitabile il confronto con i capitoli successivi.

La pellicola di Trevorrow, purtroppo, nasce con un vizio di forma: citazionismo esasperato. Jurassic World doveva essere la naturale evoluzione del cult, l’ adattamento di personaggi ben scolpiti nel nostro immaginario all’interno di un contesto moderno e vitale. Ma non è andata così, nonostante la realizzazione del sogno di John Hammond. Il parco apre sull’intera Isla Nubar ed è gestito da Claire (Bryce Dallas Howard, figlia del regista Ron) una donna in carriera con due nipoti adolescenti in visita al parco.

Mescolando il DNA di diverse specie animali, il Dottor Wu (BD Wong) ha creato un nuovo esemplare: Indominus Rex, un T-Rex implementato per soddisfare le richieste degli azionisti del parco. Il potente dinosauro, però, è estremamente intelligente e riesce a fuggire dal recinto, seminando panico e uccidendo numerosi visitatori. Per bloccare l’animale e ripristinare il sistema di sicurezza, serve un individuo coraggioso in grado di confrontarsi con i feroci animali, come l’addestratore di velociraptor Owen Grady (Chris Pratt).

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Jeep, elementi vintage, rimandi e dinosauri, tanti dinosauri. Detta così potrebbe risultare anche un’operazione di marketing perfettamente riuscita. Ahimè, niente di tutto questo. Jurassic World non è evoluzione o regressione. Nonostante il ritmo sincopato, Jurassic World è statico. C’è azione, lotta, un accenno del confronto uomo-natura con il faccia a faccia di Claire e l’Indominus, evidente citazione di King Kong. Ma dov’è l’anima? E dov’è il cinema? Dove sono il brivido e l’angoscia cui ci aveva abituato il caro Steven? Non ci sono, non c’è niente di tutto questo. Tra battute scontate e uno script prevedibile, si arriva al termine delle due ore con una sola parola in testa: peccato.

Quello che resta è un’occasione sprecata, dove l’unica consolazione ha il nome di Chris Pratt, forse perché la perfetta sintesi del vigore di Harrison Ford e del carisma di Sean Connery.

Ricapitolando: se proprio volete andare al cinema, fatelo per Chris.