Scotomizzare è un termine che ho sempre apprezzato molto. Deriva dal greco σκότωμα e sta per eliminare inconsciamente dalla percezione, e quindi dalla memoria, eventi sgradevoli o penosi.
Scotomizzare come salvezza, allontanando il disagio. Scelta codarda? Autodifesa? Non c’è una risposta corretta. L’alternativa sì e potrebbe consistere nella costruzione di un mondo ideale. Costruzione che implica ricerca e lotta, perché l’attesa non appartiene agli eroi.
Ed è questo il fulcro di Mad Max Fury Road, nuova pellicola del regista, produttore e medico australiano George Miller. Dopo quattro anni di assenza (Happy Feet 2), il cineasta torna con il quarto episodio della saga Mad Max, diventata un cult tra gli sci fi, segnando profondamente la storia di questo genere.
Ossessionato dal suo turbolento passato, Mad Max (Tom Hardy) crede che il modo migliore per sopravvivere sia muoversi da solo, ma si ritrova coinvolto con un gruppo in fuga attraverso la Terra Desolata su un blindato da combattimento, guidato dall’imperatrice Furiosa (un’incredibile Charlize Theron). Il gruppo è sfuggito alla tirannide di Immortan Joe (Hugh Keays- Byrne) che ha inviato tutti i suoi uomini sulle tracce dei ribelli, iniziando una guerra spietata.
Ma andiamo con ordine. Quale sono le novità del quarto capitolo di Miller? Sicuramente il nuovo Max, un uomo burbero e inquieto che si muove con destrezza schizofrenica tra i colori saturi del deserto e della notte.
Poi c’è la bella Charlize Theron, vera protagonista della pellicola e leader delle concubine (menzione speciale a Zoe Kravitz), cui è affidato il compito più importante: raccontare il rifiuto della violenza, la ribellione, la lotta della donna, tutto grazie alla consapevolezza di essere Altra. Questo percorso, però, non termina dopo le due ore d’azione. E’ proprio in quel punto, infatti, che il grande cineasta ci fornisce il messaggio rivoluzionario del capitolo: correre senza fuggire. Tornare dove tutto è cominciato per intraprendere un nuovo percorso, così da palesare l’evidente rottura col passato ma anche la consapevolezza di una nuovo disegno etico con conseguente ridistribuzione di risorse.
Mad Max Fury Road ha un forte impatto visivo grazie alla fantasia innocente del grande cineasta e al supporto di un cast tecnico eccellente. Dalla fotografia affidata al premio Oscar John Seal (Il Paziente Inglese, 1997) alla colonna sonora di Junkie XL, tutto è armonizzato come a mostrarci un preciso disegno della mente milleriana.
Anche questa volta, il regista ci consegna un Mad Max nella sua luce migliore, senza deludere le aspettative di pubblico e critica. Fury Road è uno sci fi atipico con scarsa attenzione ai dettagli di spazio e tempo. Protagonista indiscussa è l’azione che gode di un ritmo originale, grazie ad alcuni elementi tipici di altri generi come il western e il poliziesco. Un melting pot cui Miller ci ha magistralmente abituati dal 1979 (Mad Max 1979, Mad Max 2: The road warrior 1981, Twilight Zone: The Movie, 1983), senza mai tradire il suo stile nevrotico, sintesi perfetta dell’esperienza sperimentale introdotta nel genere fantastico con le tecniche abusate di videoclip e pubblicità.
Un climax adrenalinico di 120 minuti che travolgerà ogni spettatore, illudendolo di essere al centro di una corsa frenetica tra sabbie post-apocalittiche, proiettili, motori e assoli elettrizzanti del chitarrista dei Figli di Guerra, ruolo pruriginoso affidato al musicista australiano iOTA.