Benvenuti a Marwen

Benvenuti a Marwen è il nuovo film del Premio Oscar Robert Zemeckis  con protagonista Steve Carell.
Chi ha incastrato Roger Rabbit?, Forrest Gump, Ritorno al Futuro, sono soltanto alcune delle pellicole che hanno arricchito la mia – ma anche vostra – infanzia, senza mai deludere le aspettative riposte di volta in volta.
Zemeckis torna con una storia vera ispirata alle vicende di Mark Hogancamp e che già nel 2010 era arrivata sul grande schermo con il documentario ‘Marwencol, il villaggio delle bambole’ di Jeff Malmberg.
Fumettista di Ny, Mark è vittima di un’aggressione brutale che lo riduce in coma. Dopo nove giorni dall’episodio di violenza, il nostro protagonista si risveglia senza memoria e con problemi motori, iniziando così una seconda vita.
L’unica via di fuga sembra essere Marwen, una ricostruzione in miniatura di una città belga immaginaria dove vivono bambole e il suo alter ego Hogie, un pilota americano, durante la Seconda guerra mondiale.
L’universo di Zemeckis si afferma in tutta la sua potenza (o comunque le intenzioni si palesano totalmente), esasperando fino al surreale i punti più oscuri ed inquieti che hanno caratterizzato le sue pellicole.
Steve Carell aka Mark ci regala uno dei personaggi più naive di sempre, in grado di toccare con delicatezza tutte le corde dell’anima. Divisi tra due mondi, navighiamo e ci destreggiamo senza essere mai disorientati, comprendendo sin dall’inzio la complementarietà di quei due ‘poli’. C’è la vita reale e c’è la catarsi che deriva da Marwen, dove Mark si rifugia per scotomizzare dolori e frustrazioni, ma in cui riesce ad esprimere  creatività e autenticità del suo io artista.  Ci sono, inoltre,  le ‘donne di Marwen’, unica vera salvezza del mondo come dichiarato dal protagonista, che convivono con l’ossessione dei tacchi a spillo e la fobia per la violenza nazista.
Quello che resta di questa dicotomica rappresentazione è l’interesse verso la Verità , incuranti del mondo che si osserva di volta in volta.
Marwen city e, prima ancora, lo stesso film Benvenuti a Marwen hanno la stessa funzione terapeutica: ricongiungerci alla verità, liberandoci, anche solo per un istante, delle angosce quotidiane. Un potere che solo l’Arte, e nella fattispecie la fotografia con il cinema, sono ancora in grado di preservare.

Welcome to Marwen is the new Oscar-winning film by Robert Zemeckis with Steve Carell as lead-role. 
 
Who Framed Roger Rabbit ?, Forrest Gump, Back to the Future, are just some of the films that have enriched my – maybe also yours – childhood, without ever disappointing the expectations that we create by time. 
Zemeckis returns with a real story inspired by the life of Mark Hogancamp, and that already in 2010 had arrived on the big screen with the documentary called ‘Marwencol, the village of dolls‘ by Jeff Malmberg.
Ny’s cartoonist, Mark is the victim of brutal aggression that reduces him to a coma. After nine days from the episode of violence, Mark awakens without memory and with motor problems, thus starting a second life.
The only escape seems to be Marwen, a miniature reconstruction of an imaginary Belgian city where dolls live and his alter ego Hogie, an American pilot, during the Second World War.
 
The universe of Zemeckis is asserted in all its power (or otherwise the intentions are all revealed), exasperating to the surreal the darkest and most uneasy points that have characterized all his films. Steve Carell aka Mark gives us one of the most naive characters of all time, able to gently touch all the soul’s strings. Divided between two worlds, we sail and juggle without ever being disoriented, including from the beginning the complementarity of those two ‘poles.’ There is a real life, and there is the catharsis that derives from Marwen, where Mark takes refuge to customize pains and frustrations, but where he still manages to express his creativity and authenticity as an artist. There are the ‘women of Marwen,’ the only true salvation in the world as declared by the protagonist, the obsessions and the phobia for Nazi violence.
 
What remains of this dichotomous representation is the interest in the truth, regardless of the world that is observed from time to time.
Marwen city and, even before, the same film ‘Welcome to Marwen’ have the same therapeutic function: rejoining us to the truth, freeing us even for a moment of everyday angst. A power that only art, and in this case, photography and movies, are still able to preserve.