di Giulia Cardinale
“Perché usi sempre il binocolo?” “Mi aiuta a vedere le cose da vicino anche se sono molto distanti. Fingo che sia il mio potere magico.”
In Moonrice Kingdom è la regia a farci da binocolo: la macchina da presa è lo strumento magico di Wes Anderson che con carrellate dall’alto al basso,in avanti e indietro, da destra verso sinistra ci catapulta dal generale al particolare con un movimento, oserei dire, Andersoniano per eccellenza. La caratterizzazione dei personaggi ricalca quella Felliniana , in cui il regista sembra non differirli troppo da “bozzetti caricaturali”.
Così ci troviamo di fronte ad uno scout (Sam) e ad una ragazza con le scarpe della domenica (Susy) che studiando tutto nel dettaglio decidono di abbandonare un mondo che sembra non averli mai compresi. Nulla è convenzionale, meno che meno la scenografia che ci viene rappresentata come un dedalo in cui tutti – personaggi,regista e spettatori – si perdono per poi ritrovarsi nell’ intensità delle emozioni. Anche i ruoli sembrano essere invertiti rispetto al normale senso comune: due dodicenni che sanno guardare il mondo con una determinazione ed una razionalità che si contrappone all’irrequietezza degli adulti che, invece, sembrano ancora vivere di soli istinti.
A Susy è bastato essere guardata negli occhi ed essere capita per abbandonare il suo mondo fatto di agi, per pianificare una fuga che la portava a vivere in un mondo costituito da una tenda da campeggio, un fuoco acceso, libri di fiabe rubati alla biblioteca ” solo per avere un segreto da custodire“, un giradischi per ballare sulle note di ” Le temps de l’amour” di Francoise Hardy, ed un compagno che non avrebbe mai interpretato i suoi silenzi come silenzi di una “ragazza problematica“.
Quindi ricapitolando: incomunicabilità, fuga, libri, musica, amore e disillusione sono i temi centrali di questa storia dove, però, sul finale si fa spazio anche all’amicizia, da sempre sentimento capace di trasformare la visione sul mondo. Ed anche se a scandire l’epoca c’è qualche dettaglio degli anni ’60, l’atmosfera resta comunque sospesa in quello spazio tra il reale e l’incantato dove si costruisce ogni favola che si rispetti. Come nella scena in cui Susy legge ad alta voce la fiaba a tutti gli scout che la seguono con attenzione, che sembra quasi essere una sottile citazione di Peter Pan dove Wendy leggeva favole ai Bambini sperduti.
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