SE LA STRADA POTESSE PARLARE | Fabiola Palumbo

di Fabiola Palumbo 

Se la strada potesse parlare chissà quante ingiustizie potrebbe raccontarci. Una delle ingiustizie peggiori alle quali può assistere è senza ombra di dubbio l’arrecare sofferenza in modo assolutamente gratuito a un amore gioioso, giovane, totale.

Sono gli anni Settanta e siamo a Manhattan, nel quartiere di Harlem.Tish (Kiki Layne, al suo primo ruolo da protagonista) e Fonny (Stephan James) sono due ragazzi che, dopo una giovinezza in cui sono cresciuti insieme, capiscono di amarsi e sperano di passare insieme il resto della vita. A minare il loro piano felice interviene una condanna ingiusta: Fonny viene arrestato con l’accusa – che fa acqua da tutte la parti – di aver violentato una donna portoricana. La situazione lascia pochissimo spazio alla speranza perché l’arresto assume immediatamente un connotato politico essendo Fonny l’unico nero in un confronto all’americana. Tish, che ha solo 19 anni, scopre di essere incinta e, grazie alla sua forza e quella della sua affettuosa famiglia, affronta la situazione con inaspettata maturità e un senso di speranza e di fiducia che sembra non avere fine.

Tratto dall‘omonimo romanzo di James Baldwin, ormai una vera e propria icona tanto quanto il suo scrittore, Se la strada potesse parlare – If Beale Street Could Talk è la prima opera di Baldwin a venire trasposta cinematograficamente da un cineasta americano nonché il nuovo film di Barry Jenkins. Quest’ultimo è stato adattato in maniera estremamente fedele al libro per rendergli ogni onore possibile ed è il primo lavoro del regista dopo lo straordinario Moonlight, che nel 2017 si aggiudicò tre Premi Oscar (Miglior sceneggiatura Originale, Miglior Film e Miglior attore non protagonista a Mahershala Ali) entrando nella storia del cinema non solo per il suo innegabile valore artistico, ma anche per aver creato un siparietto niente male dato che in prima battuta il premio come Miglior Film era stato assegnato a La La Land di Damien Chazelle.

È altamente probabile che anche quest’anno Jenkins non tornerà a casa a mani vuote. Il 22 gennaio sono state infatti annunciate le candidature dall’Academy e Se la strada potesse parlare ne ha ottenute – nuovamente – tre. Tra queste spicca la nomination come Miglior Attrice non protagonista a Regina King, che nel film interpreta la volitiva madre di Tish, completamente votata alla felicità della sua famiglia. Un bellissimo diamante che per questo ruolo ha già vinto il Golden Globe e che ha dato corpo a una delle scene più incisive in assoluto della pellicola (“Regina King a Panama” come mantra e parola d’ordine).

L’aggettivo è abusato e banale, ma siamo davvero di fronte a un film bellissimo, da tutti i punti di vista.

La storia è struggente, una di quelle che ti riempie il cuore e allo stesso tempo te lo strazia.

Tish e Fonny erano amici prima di essere innamorati e successivamente amanti, il loro legame inscindibile è il risultato di un amore che è cresciuto e si è intensificato con il passare delle stagioni. L’incontro di due anime affini e delicate che si trovano e brillano in un mondo che non è degno di loro, pieno com’è di ingiustizia e di sofferenza. Eppure l’amore sopravvive al tempo e alle avversità. Nessun sentimento è banale e quello raccontato da Baldwin/Jenkins meno che mai anche perché si ammanta di significati sociali e politici, che non sono poi così datati o comunque estinti. La storia di Tish e Fonny ci restituisce uno spaccato di vita della situazione razziale della comunità nera non solo newyorkese e non solo negli anni in cui viene ambientata. Il romanzo è stato pubblicato nel ’74 e si snoda, come abbiamo detto prima, negli stessi anni, ma poteva tranquillamente collocarsi in un tempo non tempo e in un luogo non luogo, quindi anche ai giorni nostri perché purtroppo le ingiustizie sono sempre attuali.

Gli attori sono bellissimi, nella loro fisicità ed espressività, e la loro innegabile bellezza viene esaltata dalle inquadrature meravigliose che li ritraggono in primissimo piano, di fronte e di profilo. Profili che sono perfetti e sembrano modellati, scolpiti, fissati sullo schermo mantenendo però una dinamica vitalità che è straordinaria.

E come non parlare poi della bellezza abbacinante dei colori. Palette di colori avvolgenti, che più che di sfumature cromatiche sono fatte di emozioni e sensazioni che infondono un senso di tepore paragonabile a un abbraccio rassicurante. Gli unici momenti di buio sono quelli in carcere, lì non c’è la minima gioia, niente a che vedere con la vivacità e il calore delle scene familiari, si scarnifica anche il linguaggio. Niente dialoghi brillanti, niente battute taglienti. Un lavoro meraviglioso portato avanti dagli sforzi congiunti della sceneggiatura, della fotografia firmata da James Lexton e della scenografia di Mark Friedberg.

Menzione di merito, infine, anche alle musiche, lodate dalla nomination all’Oscar. Nicholas Britell ha creato una colonna sonora che sposa il film in tutte le sue parti risultando quindi contemporaneamente romantica, dolorosa, malinconica.

Se Se la strada potesse parlare fosse un genere musicale sarebbe un blues estremamente sentimentale.

Tirando le somme, Barry Jenkins è una meravigliosa conferma e non manca anche questa volta di intensità e di durezza.

Il film è dedicato a James Baldwin, un gesto che è gratitudine assoluta.

Distribuito da Lucky Red, Se la strada potesse parlare vi aspetta al cinema da oggi, 24 gennaio.